I luoghi e il Convento dei Cappuccini
(Due lettere inedite dello scrittore al Padre Romualdo Bizzarri )*
* Ringrazio il Ministro Provinciale dei Cappuccini Toscani, P. Valerio Mauro, per avermi consentito, con rara disponibilità, ed essendo la sottoscritta la nipote dello scrittore, di consultare e leggere gli originali e di riprodurne qui la trascrizione. Resta inteso che il copyright sulla documentazione, depositata nell’archivio dell’Ordine e qui edita, resta dei PP. Cappuccini Toscani.
Lo scrittore Federigo Tozzi, nato a Siena il 1 gennaio 1883, ha abitato vicino al Convento dei Cappuccini, nella casa che suo padre – anche lui si chiamava Federigo ed era nativo di Pari – acquistò, nello stesso periodo in cui a Poggio al Vento si insediarono i Cappuccini. Era un podere denominato Castagneto o Castagnetino: una casa colonica con dei terreni, un tempo appartenuti alla comunità delle Monache di Santa Marta (la cui insegna è ancora visibile sul muro della casa rossa lungo la strada). Federigo padre aggiunse un edificio padronale alle abitazioni contadine e alle stalle.
Castagneto è il Poggio a’ Meli che lo scrittore descrive nel romanzo “Con gli occhi chiusi”: “Poggio a’ Meli si trovava fuori di Porta Camollia per quella strada piuttosto solitaria che dal Palazzo dei Diavoli va a finire poco più in là del convento di Poggio al Vento. C’era una vecchia casetta rintonacata di rosso, a un piano solo; e congiunta al tinaio e alle abitazioni degli assalariati fatte sopra le stalle. Si entrava subito nell’aia; con il pozzo da una parte e il pergolato a cerchio, sotto il quale Domenico teneva, a stagione buona, una dozzina di conche con le piante di limoni: il solo lusso invece del giardino…. Il podere era di qualche ettaro, con la siepe di marruche e di biancospini sulla strada: un piccolissimo appezzamento pianeggiante e coltivato bene; il resto a pendice, fino al fosso di un’altra collinetta che regge le mura della Porta Camollia. Lungo i confini, querci grosse e nere, con qualche noce alto alto; e nei fondi, salci e orti, perché c'era l'acqua. Dall'aia si vedeva Siena. Il podere, benché piccolo e con le case in quel modo, era bello: ci si trovava una dolcezza che invogliava a starci: cinque cipressi, in fila, dietro il muricciolo dell’aia; e poi tutto pieno d’olivi e di frutti. …. Per la strada passavano, di solito, a seconda delle ore, qualche cappuccino la mattina, i contadini e i loro carri sempre; tutti i giovedì, verso mezzogiorno, i mendicanti che andavano a mangiare la zuppa del convento. In autunno c'erano anche parecchie famiglie di villeggianti, e i forestieri di una pensione: e questi stavano fuori la sera. Le domeniche, a tempo bello, qualche comitiva che cantava; dopo aver bevuto alle trattorie e alle bettole del borgo fuori porta.
La strada è quasi dappertutto piana e stretta, con parecchie ville e altri poderi; e poi lecci, querci, castagni, cancelli di legno, siepi potate. Mentre si vedono le altre ville, molto più belle, che vanno alla chiesa di Marciano; e un ammasso di colline verso la parte di maremma e il Monte Amiata.”
A Castagneto lo scrittore da ragazzo trascorreva il tempo libero, nelle vacanze e quando non stava nella casa di via dei Rossi, di fronte alla trattoria paterna. Il podere era per lui un rifugio dalla vita opprimente e dalle tensioni con il padre. La madre, più comprensiva e dolce, morì quando Federigo aveva dodici anni. Da ragazzo Federigo frequentò le scuole, con scarsi risultati per il suo carattere ribelle. Provava inoltre una avversione spiccata verso il lavoro nella trattoria, che il padre avrebbe voluto che intraprendesse. La campagna, invece, con le stagioni, gli animali, le piante e la vita dei contadini, costituiva per il giovane Federigo un mondo affascinante, che ha avuto un impatto determinante sulla sua sensibilità. Per la sua creazione artistica la campagna è stata una delle principali ispirazioni.
Il suo primo amore, una ragazza contadina di nome Isola che viveva a Castagneto, divenne il personaggio di Ghisola nel romanzo “Con gli occhi chiusi”. Verso i vent’anni Federigo si fidanzò con Emma Palagi, che poi diventò sua moglie. Emma abitava a Siena, in Pian dei Mantellini, e le sue finestre davano sulla campagna di Poggio Al Vento. Federigo le scrisse in una lettera, il 12 luglio 1907, una descrizione della collina di Poggio Al Vento: “Stasera io rivado in campagna. Vedo, dal podere, di sguincio le tue finestre, e tu dovresti veder me. Guarda dal convento di Poggio al Vento, su la medesima collina lunga, verso il Palazzo dei Diavoli, e troverai una casa bianca attaccata ad una più piccola rossa, quasi ammucchiate a un palazzo con molti alberi intorno (rispettivamente, Castagneto e la villa Paoletti). Dinanzi alle case del podere, vedrai due pagliai già mozzi e presso ad essi un viale corto di viti, in fondo a cui è un cipressetto e quattro ciliegi. Da lì mi vedresti.”
Nel 1908, dopo la morte del padre, Federigo ed Emma si sposarono e andarono ad abitare a Castagneto. Nel 1909 nacque il loro unico figlio, Glauco. La famiglia abitò a Castagneto fino a quando nel 1914 si trasferì a Roma. Furono anni di intenso lavoro per lo scrittore, poi confluito nelle sue opere, romanzi, poesie e novelle (racconti). La campagna intorno a Poggio al Vento la ritroviamo in moltissimi suoi scritti. Oggi possiamo solo immaginare come era in quel tempo: colline tutte coltivate, solcate dai filari delle viti, intervallate dagli olivi, e in mezzo il grano; nel fondovalle c’erano molte sorgenti, con orti, altre coltivazioni e alberi da frutta. Per non parlare degli animali, che erano presenti in gran numero. Questa campagna negli scritti di Tozzi è come animata da creature vive: presenze che si esprimono a loro modo; come in questo brano tratto da “Fonti” in cui descrive l’arrivo del temporale estivo:
“E allora tutto il campo stormiva: i granturcheti si sbatacchiavano con le foglie secche e con le spighe mature; i grani bisbigliavano, meno forte dei fieni però; i frutti, carichi, gemevano e si piegavano; le canne sibilavano come se avessero voluto cantare qualche loro arietta; i cipressi sospiravano; le querci e i castagni crosciavano; qualche greppo di tufo franava; le viti strepitavano; e gli olivi respiravano forte. Mi veniva voglia di mettermi a cantare, e invece sognavo e basta. E la bassotta chiudeva gli occhi prima di me; mentre ogni pioppo faceva di tutto per essere quello più vicino alla fonte, nell’ombra verde.”
Attraverso le sue descrizioni riscopriamo tanti elementi del paesaggio dei primi anni del Novecento, oggi scomparsi. Ad esempio, i fontoni e le sorgenti, che all’epoca erano numerose nei campi intorno a Siena. In questo brano, tratto sempre da “Fonti”, Federigo parla di una sorgente, che sembra animata da una vita misteriosa, che si rivela all’improvviso: “Vi sono fonti che non hanno nessuna voce: non bisbigliano né meno. Sembrano sordomute. Una ce n’era, così, vicino all’uscio di casa mia quando avevo il podere. E, giacché non serviva a niente, ordinai che la disfacessero. Mi ricordo quando con le vanghe buttarono all’aria le zolle che prima tenevano l’acqua. La terra era diventata più colorita e tenera…. Ma, allora, mi accorsi che anche la fonte sordomuta mi aveva tenuto compagnia. Era come se quell’acqua avesse attraversato la mia anima, con il suo silenzio, ogni sera. Mi aveva dissetato senza che l’avessi mai bevuta; ed era stata buona senza rinfacciarmelo. Perché io l’ho voluta far sparire?”
Nel periodo in cui abitava a Castagneto (1908 - 1914) Federigo era diventato amico di un frate del Convento, Padre Romualdo Bizzarri, che insegnava letteratura nello studio liceale interno dei Cappuccini. Il Padre Romualdo era nato a S. Marcello Pistoiese nel 1878, e quindi aveva cinque anni più di Federigo. Oltre ad essere un religioso di profonda spiritualità, era un uomo colto, uno stimato critico letterario, autore di diversi volumi e saggi, e collaboratore di riviste letterarie. Gli interessi comuni a tutti e due li fecero incontrare, e iniziarono a frequentarsi. Abbiamo la testimonianza dello stesso Padre Romualdo che, in una intervista al giornale La Nazione ( riportata in una memoria di Padre Vittorio Benucci), molti anni dopo così ricordava il loro primo incontro: “Io conobbi il Tozzi nel 1911: in un pomeriggio di una limpidissima e mitissima serata d’ottobre ci incontrammo soli nell’orto, da quella parte che il nostro Poggio al Vento guarda la città. Rude l’incontro nel suo primo abbordo, ma dopo un momento d’incertezza, originata in lui da non aver consuetudine coi frati, la conversazione diventò cordialissima. Da allora le sue visite erano frequenti, giacché la sua casetta non dista dal mio convento trecento metri. Si parlava soprattutto di cose letterarie, di estetica, di critica e, specialmente negli ultimi tempi, di religione. Siena può essere orgogliosa di questo suo figlio, a cui se la morte invidiò un vertice più alto, non gli potè togliere la gloria di essere uno dei migliori rappresentanti della letteratura del primo novecento.”
Dopo il trasferimento a Roma di Federigo, il rapporto con P. Romualdo non si interruppe. I due continuarono ad incontrarsi quando Federigo tornava a Siena; e si scrissero. Nell’archivio Tozzi a Castagneto sono conservate due lettere scritte dal P. Romualdo a Federigo.
Non si conoscevano, invece, due lettere, scritte da Federigo al P. Romualdo. Chi scrive ne è venuta a conoscenza per un caso fortunato: consultando il sito dei Frati Minori Cappuccini di Toscana, e leggendo nell’elenco dei documenti dell’archivio del Convento di Montughi, a Firenze, ha appreso che vi sono conservate due lettere autografe di Federigo Tozzi. Si tratta di una lettera e di una cartolina postale, autografe, indirizzate al P. Romualdo. Evidentemente, esse sono state conservate dal destinatario, e poi, dopo la sua morte, trasferite a Firenze nell’archivio dell’Ordine. La cosa interessante è che – come appare dal contenuto – le già note lettere di P. Romualdo sono state scritte in risposta alle lettere di Federigo.
Esprimo la mia profonda gratitudine verso l’Ordine dei frati Minori Cappuccini di Toscana, che ha conservato le lettere e che oggi, in persona del Ministro Provinciale, P. Valerio Mauro, ne autorizza la divulgazione.
Trascrivo, di seguito, le due lettere di Federigo (gli originali autografi sono visibili al link indicato) e riproduco le già note risposte del P. Romualdo*.
*I testi che vengono qui editi o riprodotti sono stati estratti dalle seguenti fonti: Lettera di Federigo Tozzi a P. Romualdo Bizzarri del 9 agosto 1919 (Provincia Toscana dei Frati Minori Cappuccini, Archivio Cappuccini Firenze); Risposta di P. Romualdo Bizzarri del 26 agosto 2019 (archivio Tozzi Castagneto); Cartolina Postale di F. Tozzi del 17 febbraio 1920 (Provincia Toscana dei Frati Minori Cappuccini, Archivio Cappuccini Firenze); Risposta di P. Romualdo Bizzarri del 19 febbraio 1920 (archivio Tozzi Castagneto); lettera di P.Romualdo a Emma Palagi del 17 dicembre 1921 ( archivio Tozzi Castagneto).
Lettera di Federigo Tozzi
Roma, 9 agosto 1919
Carissimo amico. Non parlo mai di me con nessuno. Per me non esistono che gli esseri grandi e gli esseri buoni, ai quali voglio bene. Ma credo di essere anche vicino a schiarire me stesso per mezzo di Dio. Ricordo con affetto le nostre ore quiete, e il mio bisogno di confidarmi a lei. Posso dirle che mi sono vinto, e ne provo una specie di orgoglio. Non ho potuto più lavorare, ma sento che questo riposo, più aspro della fatica, è per doventare fecondo. Non ho fretta.
Ho scritto al Papini (Pieve Santo Stefano, Arezzo) che mi dica se vuole la traduzione di san Gregorio. Ma ne parlerò anche al Ciampoli. Al Papini ho dato il nome e l’indirizzo di Padre Cassiano, dicendogli che, se vuole, può scrivere a lui direttamente. Ma stia sicuro che la traduzione escirà. Mi scriva spesso, perché ho bisogno di mettermi a tu per tu con me stesso; e, magari, di salvare quei sentimenti che io devo soltanto conoscere con l’intelligenza. Ma così come sono, pieno di cose informi e di cose perfette, spero di trovare la forza per dare alla mia arte quell’irresistibile passione che ho dentro di me; come se bruciassi o mi avventassi di continuo in qualche abisso che non finisce mai. Sono molti anni che corro così, dentro di me. E, guai, se mi apparisse che è inutile! Io devo trovare anche la forza non solo per ciò che è propriamente la mia vita, ma anche per rappresentare quella degli altri quando li sento vivere nella mia anima. E degli altri devo anche conoscere le spiegazioni. Con questo mi consumo, ma poi mi rifò. Ed ora ho bisogno di non pensare a questi personaggi, per dare a me quel che ho sempre sperso durante la via. Pochi possono intravedere questo continuo morire. Ma lei sì. E perciò, anche se forse contro la mia volontà, e invece è nel mio desiderio e nel mio affetto, lei deve scrivermi, trattarmi male, se lo crede necessario, parlarmi come deve. Mi parli con la ragione della religione.
Suo dev.mo amico
F.Tozzi
Saluti a lei e a tutti gli amici del Convento.
Risposta di P. Romualdo
Se ne riproducono solo alcuni stralci, perché è molto lunga. Il Padre fa riferimento alla lettera di Federigo del 9 agosto e dice che aveva già risposto in precedenza con “un letterone di sei fogli “; che, evidentemente, non era arrivata al destinatario. Parla del P.Cassiano e della sua traduzione delle lettere di S.Gregorio; per la cui pubblicazione Federigo si era interessato con Papini.
Poggio Al Vento Siena li 26 VIII 1919
Mio caro Tozzi, risposi alla sua del 9. VIII. 1919 con un lungo letterone di sei fogli. Può darsi che ci fosse qualche cosa di interessante per noi. Papini, come le dicevo in quella mia, si è messo in relazione diretta col padre Cassiano, il quale ora è tutto occupato nella scelta delle lettere e procede con fervore e con gusto alla traduzione delle scelte. La ringraziamo del suo interessamento.
Penso con piacere a Lei e collo spirito vengo spesso a visitarla. Prego Colui, il quale è presente a tutti gli intelletti e a tutte le volontà e in noi accende la scintilla dell'intelligenza e il fuoco dell'affetto, a rendere efficaci questi nostri rapporti. Dio è il vincolo, che ci unisce. Senza di lui come potremmo intenderci ad amarci? Ove non regna Dio, ivi tiranneggia la mutevole impressione, e siede regina la continua incostanza. Finché la fantasia ferve e riesce a dare un certo ordine alle apparenze psicologiche, l'uomo può sentire in sé la forza di dare unità al suo io ed uno scopo alla sua esistenza: ma, come questa si intiepidisce, cade a pezzi tutto il mondo fabbricato a se stesso, frantumandosi. Perché Ella possa dare validità alla condotta della sua vita interiore, e alla sua produzione un'orma durevole, è necessario si metta in rapporto di fede e di amore con Dio: rapporto non fantastico, e falsamente mistico, ma reale, concreto. La religiosità, quale appare nei letterati moderni, quando c'è, è fantastica.
Da lei voglio una fede, che arrivi fino alla purificazione dell'anima e alla giustificazione. Il resto è fantasticheria….. Non dico questo, perché voglia fare di Lei un artista religioso. A questo non penso nemmeno. Prima di tutto desidero in Lei il sentimento religioso e la pratica per la salvezza dell'anima… Desidero in Lei questa pratica efficace della religione anche perché la visione poetica in Lei si allarghi e si intensifichi. Chi ha in sé stesso Dio, vive in lui la profondissima realtà e risuona nell'anima sua l’eco viva di tutte le cose…. Non tema per il suo genio di artista; esso si allargherà e si intensificherà…Io apprezzo il suo ingegno, riconosco la magnanimità del suo spirito, perciò mi fo lecito di dirle la verità, tutta la verità senza reticenze e inutili adulazioni. Ella non riuscirà a produrre cosa che valga per l’eternità senza questo interiore rinnovamento … Se io, caro Tozzi, non conoscessi la sua intelligenza e la tenacia della sua volontà, non mi dilungherei in parole.
La saluto e con sincero affetto e stima mi dico
in amplexu caritatis
fr. Romualdo Capp.
Cartolina postale di Federigo Tozzi
Padre Romualdo Bizzarri
Convento di Poggio al Vento
Fuori Porta Camollia
Siena
data del timbro postale: 17. 2. 1920
Caro Romualdo. Sono stato a Milano, in automobile; passando da Siena. Ma non mi fermai; perché tanto io che i miei compagni di viaggio avevamo fretta. Il mio romanzo Tre Croci è per escire da vero; e glielo manderò io. Desidero da lei il suo più schietto parere; perché tengo molto conto di quello che lei mi dice. Ricordo le buone e belle ore passate con lei e con Padre Cassiano; e, non di rado, mi viene la voglia di scappare da tutti i frastoni dove sono fitto. Con i più cordiali saluti anche a Padre Cassiano, suo amico
Federigo Tozzi
Risposta di Padre Romualdo
Stralci. Il Padre fa riferimento al viaggio a Milano di Federigo.
Siena li 19.2.1920
Mio caro Tozzi,
Lei scorrazza qua e là per l’Italia rifinita dalla guerra prima, ora legata con mille ritorte dalla matta oligarchia finanziaria internazionale: io, invece, me ne sto a Poggio al Vento, fisso come polipo allo scoglio. Lei si dibatte, attraverso le tumultuanti passioni, per trovare l'ultimo della sua arte; io lento e sonnacchioso torturo l’animo, ora dissacandolo agli evanescenti schemi della metafisica, ora tuffandolo nei vortici della storia umana. Che ne uscirà fuori? Da me, non lo so. La sicurezza dell’avantiguerra mi si è convertita in torpida inquietezza. Da Lei spero molto: forse più di quello che Ella non osa sperare di sé.
…Che noi siamo ad una catastrofe storica chi può metterlo in dubbio? I principi posti nel secolo XV e via via svoltisi fino a noi, ormai sono esauriti. Di quel mondo tutto è perito…Ella, mio buono amico, che dal nulla, da sé, tra il sogghigno sprezzante dei vicini, si è levato già alto, vede la via aperta dinanzi a sé. La meta è alta e nuova, ed esige un uomo nuovo….Quel non essere contento di sé, quel non adagiarsi sulle conquiste fatte, quel desiderio veementissimo di salire sempre più in alto, mi fanno bene sperare. Rompa adunque le vecchie catene e si slanci in questa vita nuova.
E’ inutile dire che io conservo buona memoria di Lei e che la ricordo sempre e in modo speciale la mattina all’altare. Il desiderio mio vivissimo sa qual’é. Sa cosa desidero per Lei e per l’opera sua. Posso dire che ormai il bene suo per la comunicazione dello spirito è bene mio. Godo e mi attristo se Lei gode o si attrista. La grazia del nostro Signore Gesù Cristo illumini la sua mente e muova il suo cuore e Le conceda di raggiungere quaggiù la meta, che Le desidero, e in cielo la vita eterna. ...La saluto e con affetto mi dico devotissimo Fr. Romualdo
Vediamo, nella lettera di Federigo, l’amicizia e la confidenza che egli manifesta verso il Padre Romualdo (carissimo amico). Lo scrittore non si apriva facilmente (Non parlo mai di me con nessuno). Probabilmente, non molti erano all'altezza di comprendere la sua acuta sensibilità. Nel P.Romualdo egli ha trovato non solo un interlocutore, con il quale poteva confrontarsi su temi di letteratura, ma anche un ascoltatore attento, in grado di comprendere la sua complessa interiorità, e al quale poteva aprire il suo animo (ricordo le nostre ore quiete e il mio bisogno di confidarmi a lei ). Dalla lettera emerge che Federigo stava compiendo un percorso verso Dio, dal quale egli si aspettava di ricevere luce su stesso e sulla propria vita: “Credo di essere vicino a schiarire me stesso per mezzo di Dio”.
Nei primi anni di gioventù Federigo aveva aderito alle idee anticlericali e rivoluzionarie, tipiche dell’epoca; più per il suo spirito anticonformista e ribelle, che per reale convinzione. Il senso religioso in realtà non si era mai spento nel suo animo. Presto aveva abbandonato le idee anticlericali, anche grazie all’influsso esercitato su di lui da Emma, profondamente credente. Anche la lettura di Dante e degli scritti di Santa Caterina, S. Bernardino, e altri mistici lo aveva riavvicinato alla religione. In un articolo intitolato “La mia conversione” del 1913 Federigo aveva affermato che “le letture continuate di autori mistici, e in specie di Dante, mi fecero ritrovare la strada a cui non pensavo più.”
Erano nel suo carattere e nella sua indole l’autenticità e la ricerca della profondità delle cose; non poteva perciò accontentarsi di una religiosità superficiale o di facciata. Comprendiamo dalle sue parole che, ritrovata la fede in Dio, egli si impegnò a superare i propri limiti, ingaggiando una lotta interiore contro ciò che impediva la sua completa purificazione spirituale. Colpisce nella lettera l’espressione di una forte volontà, che lo portò a conseguire vittorie su se stesso; per cui poteva scrivere al Padre: “Posso dirle che mi sono vinto, e ne provo una specie di orgoglio”.
Federigo sentiva che il P. Romualdo comprendeva il travaglio del suo animo; sia dal punto di vista della creazione artistica, che sotto il profilo spirituale: “Pochi possono intravedere questo continuo morire. Ma lei sì”. Emerge che Federigo confidava e si appoggiava a lui, in quanto amico e in quanto sacerdote. Gli chiedeva di scrivergli spesso, di parlargli il linguaggio della verità, anche se scomoda. Gli chiedeva di richiamarlo alle ragioni della fede: “Mi parli con la ragione della religione”.
Le lettere di P. Romualdo mostrano sincera amicizia verso lo scrittore; vicinanza e coinvolgimento nelle vicende della sua esistenza: “Posso dire che ormai il bene suo per la comunicazione dello spirito è bene mio. Godo e mi attristo se Lei gode o si attrista.”. Mostrano stima e fiducia verso lo scrittore: “Da Lei spero molto: forse più di quello che Ella non osa sperare di sé” e:” Se io, caro Tozzi, non conoscessi la sua intelligenza e la tenacia della sua volontà, non mi dilungherei in parole”. Gli parla schiettamente: “mi fo lecito di dirle la verità, tutta la verità, senza reticenze e inutili adulazioni”; lo sprona ad una vita pienamente rinnovata, lo incoraggia a cercare il rapporto di fede e di amore con Dio.
Purtroppo, dopo appena un mese dall’ultima lettera, Federigo moriva a Roma di polmonite, a trentasette anni, il 21 marzo 1920. Egli non poté mandare all’amico il libro “Tre Croci” come gli aveva promesso nella cartolina postale, e non poté chiedergli il suo parere. Il romanzo fu stampato pochi giorni prima della sua morte.
Durante la breve malattia di Federigo, P. Romualdo si premurò di inviare al suo capezzale un giovane frate che si trovava a Roma; come mi ha raccontato molti anni dopo il Padre Atanasio Andreini, e come ha scritto il Padre Romualdo stesso in una lettera a Emma, conservata nell’archivio Tozzi. In questa lettera il Padre parla del cammino spirituale compiuto da Federigo e ricorda il loro ultimo incontro: “...la volontà di purificarsi
in Tozzi c’era, prima incerta e vacillante, poi più sentita, negli ultimi tempi veemente. Ricordo sempre quel suo gesto significantissimo, quando dopo due o tre ore di vivace conversazione, accompagnatolo sotto il portico della nostra Chiesetta di Poggio Al Vento, egli con aria mesta, quasi presago di quel che doveva presto accadere, mi batté la spalla con la sua mano pesante dicendomi: la mia vita si appoggia sulla sua, non se ne dimentichi. La morte lo sorprese in questa disposizione di spirito. Ciò che io le dico è vero. Non mentiva Federigo con me.”
Concludo con le parole di Emma (in notizie biografiche, Novale): “Muore di polmonite, dopo pochi giorni di malattia, durante i quali il Suo Spirito parve, al di fuori dei confini comuni, risplendere di luce. Forse, non si accorse di morire; ma dal primo momento, avendone il presentimento, si era rassegnato al volere di quel Dio di cui, ormai, aveva acquistata l’assoluta certezza”.
Padre Romualdo morì a Poggio al Vento il 27 febbraio 1954, ed è sepolto nel cimitero del convento.
Federica Tozzi
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